Tempo
fa descrissi Playing The Angel come un significativo
ritorno alla forma classica dei DM, cioè a quella
cristallina vena elettronica che sembrava essersi un po’
smarrita tra le inflessioni semi-acustiche e le
atmosfere intimiste e romantiche di Exciter, disco che
aveva notoriamente seminato parecchi malumori tra la
base dei fans, nonostante le lusinghiere recensioni
ricevute. (continua...
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La differenza tra i
due concerti di Milano sta tutta nel minuto finale di Home dello
show domenicale, quando Martin Gore si lascia andare
completamente, abbandonandosi alla sua gente durante
l'esecuzione di una song che probabilmente è tra le sue
preferite in assoluto. Prima lungo la passerella, poi
all'estremità sinistra del palco nella piccola rotatoria, Gore
esterna al mondo il suo stato interiore. Felicità e brividi che
arrivano al termine di cinque minuti di rara emozione, in cui i
suoni, le immagini e la sua calda voce si fondono in un
crescendo che raggiunge l'apice nel finale. Attimi di emozione
pura, il punto più alto di un concerto che ha visto la band
inglese ripresentarsi in splendida forma - fisica e mentale - al
suo pubblico.
Una performance altamente professionale, quella della due giorni
milanese (soprattutto la seconda), che ha confermato pregi e
difetti di uno spettacolo che i Mode portano in giro per il
mondo dal novembre scorso. Un primo concerto, quello di sabato,
quasi di rodaggio, in attesa di sprigionare tutta l'energia e la
carica vitale nella serata successiva che per tanti aspetti,
secondari e non, ha visto salire on stage una band più decisa,
compatta, capace di presentare due ore di concerto senza alcuna
sbavatura e di creare con i 13 mila del Forum di Assago un
feeling ancora più intenso. Non è azzardato dire che il concerto
di domenica è stato il migliore finora visto in Italia da quando
i Mode si sono ripresentati, dopo l'abbandono di Wilder, nella
nuova formazione a 5. Inutile, e a questo punto anche
ingeneroso, fare ingombranti paragoni con un passato che tanto
non può tornare. Il Touring The Angel è quanto di meglio nelle
condizioni attuali si possa chiedere a una band in giro ormai da
25 anni che ha perso per strada il suo uomo più importante in
materia di arrangiamenti live. Certo, si potrebbe discutere
all'infinito sulla track-list, sul fatto che ormai Gore e soci
vanno sul sicuro, proponendo uno show senza mai mettersi in
discussione e risultare così innovativi come in passato. Si
potrebbe discutere a lungo sull'inutilità (a prescindere dalla
resa live) di certi brani, uno a caso Just Can't Get Enough che
pure era già stata riproposta nel 1998 nonchè inserita nel video
di 101, o sull'imbarazzante resa di Precious, che forse avrebbe
meritato di fare la stessa ingloriosa fine di I Feel Loved del
precedente tour, se non fosse che il singolo apripista di PTA è
stato un must assoluto di vendite avvicinando al gruppo migliaia
di nuovi adepti. Si potrebbe discutere di tutto e di più, resta
il fatto che, a oltre quattro anni dalla loro ultima esibizione
italiana, i Depeche Mode ripagano la lunga attesa con due
concerti onesti, "veri" e di buon spessore. La scaletta è stata
quella solita, nessuno spazio lasciato all'improvvisazione o a
qualche lampo di genio. Poche, quindi, le "novità" in termini di
arrangiamento dei brani rispetto ai precedenti tour. Enjoy the
silence e Personal Jesus sembrano andare in automatico, così
come Never Let Me Down Again. Colpisce invece in positivo
l'enorme carica di energia e di pathos scatenate da Walking In
My Shoes e soprattutto I Feel You. Dave Gahan le canta da Dio,
sembra quasi davvero di essere tornati ai fasti del Devotional.
I due show mettono in luce un Dave superlativo: finalmente
misurato, look dei bei tempi, lontano dagli eccessi vocali che
ne avevano caratterizzato la performance nell'Exciter tour, il
frontman appare sereno e in pace con se stesso. Non ha più nulla
da dimostrare, e il rendimento sul palco ne risente: incanta la
platea con una voce potente e chiara come forse mai in passato,
la sua è una presenza on stage da rocker consumato e nonostante
questo elegante. Fisicamente al top, è come il vino, col passare
degli anni migliora. Uno dei pochi vocalist in circolazione a
saper catalizzare completamene su di sé l'attenzione del
pubblico. I due concerti ci raccontano poi di un Martin Gore in
buona forma, felice e saltellante e protagonista degli episodi
più toccanti dello show. Una menzione a parte merita Fletch, da
sempre collante del gruppo ma poco presente, musicalmente,
soprattutto sul versante live. E invece in questo tour il "Cicognone"
ci dà dentro pure con il synth (il suo CS6X della Yamaha è
l'unico tradizionale presente on stage, laddove gli altri
suonano tutti tastiere mute pilotate dal pc), e davvero sembra
più coinvolto in tutti i brani che animano la scaletta. Onesti
Peter Gordeno (che peraltro nel weekend milanese è stato esente
da evidenti sbavature) e il drummer Christian Eigner, che a
parte lo spiacevole inconveniente della bacchetta persa durante
il primo show, si fa notare per una elegante, si potrebbe dire
quasi wilderiana, interpretazione di A Question Of Lust. Corbjin
questa volta indovina la scenografia giusta. Volutamente kitch,
l'artwork del celebre fotografo e videomaker olandese rimanda
direttamente allo space rock di matrice tedesca dei primi anni
'70 e persino a certi spettacoli spaziali e ipertecnologici dei
Rockets. Sintetizzatori nascosti in appositi dischi volanti
dotati di lucettine colorate, luci laser dai colori abbaglianti,
una enorme sfera in lamiera appesa al soffitto che trasmette
messaggi subliminali in sintonia con il contenuto delle canzoni.
Sullo sfondo, le immancabili proiezioni per le quali Corbjin
attinge spesso dal passato, per esempio quando ripropone la
celebre donna uccello che attraversa lo stage in Walking In My
Shoes, o la mitica rosa che sboccia durante Home. Ma insieme a
questo, anche filmati inediti, più sgranati e riprese dirette
dal palco. In definitiva un lavoro onesto che, complice anche la
mancanza delle coriste e il recupero, grazie ai brani di Playing
The Angel, di alcune sonorità eightees, riavvicina sotto certi
aspetti l'esibizione dei Mode a quanto la band seppe fare nel
periodo più glorioso della carriera. Si parte puntuali nel buio
del Forum, attraversato da fasci di luci rosse. Il sibilo
straziante di una sirena introduce le prime note di A Pain That
I'm Used To. La scaletta è ormai collaudata: buona parte dei
brani di Playing The Angel, intervallata da una sequenza
impressionante di hit capaci di mettere d'accordo tutti. Già con
John The Revelator si intravvede la differenza tra le due
serate: sabato Dave appare in difficoltà, la sera seguente
invece la song fila via che è una bellezza (anche se con i bpm
inferiori rispetto ai solchi del disco). Con A Question Of Time
il Forum si trasforma in un immenso dancefloor, peccato che dopo
una buona interpretazione di Policy Of Truth arrivino i dolori
sotto forma di Precious. Non c'è niente da fare, il brano non è
per le corde di Dave, che deve fare appello a tutto il mestiere
accumulato in 25 anni per portare a termine i quattro minuti che
compongono la canzone. Non aiuta neanche l'arrangiamento troppo
dimesso, quasi unplugged, che annulla del tutto l'atmosfera e
l'intensità dell'originale. Uno di quei brani la cui resa live
fa rimpiangere amaramente la mancanza di Wilder. Si torna in
orbita con la drammatica e ricca di pathos Walking In My Shoes e
la danzereccia Suffer Well, accolta con grande entusiasmo.
Martin si esibisce al microfono regalando ai fans le emozioni
più grandi, con Home e poi alternando Damaged People con Macro
nelle due serate, con quest'ultima che mostra una resa dal vivo
nettamente superiore. I Feel You sembra riportare ai fasti del
Devotional tour del 1993, così come Behind The Wheel, mentre in
World In My Eyes, buona ma un po' lenta, Dave si esibisce nel
finale in un volo mimato (dell'angelo?). Chiude la prima parte
l'accoppiata killer Personal Jesus - Enjoy The Silence, per la
verità con poche divagazioni dal tema consueto del pump mix e
del break strumentale in stile marimba con cui la band propone
ormai da qualche tempo l'inno al silenzio. Il bis si apre con
una versione piano acoustic di Shake the disease, già proposta
da Gore nel 2003 durante il suo tour solista, prima del gran
finale che vede i Mode ripercorrere le prime fasi della loro
carriera, quella maggiormente technopoppeggiante, con Just Can't
Get Enough ed Everything Counts. Quando per la terza volta la
band, acclamata a gran voce, torna sul palco, si scatena il
campo di grano con 26 mila braccia che si agitano all'unisono
sulle note di Never Let Me Down Again. Si chiude con la ninna
nanna di Goodnight lovers, con Gore e Gahan che in duetto, in
una passerella mobile in mezzo al parterre, sussurrano la
buonanotte tra gli applausi scroscianti.
(Mauro Caproni)
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