Intro
A Pain That I'm Used To
John The Revelator
A Question Of Time
Policy of truth
Precious
Walking In My Shoes
Suffer Well
Macro
Home
I Want It All
The Sinner In Me
I Feel You
Behind The Wheel
World In My Eyes
Personal Jesus
Enjoy The Silence
A Question Of Lust
Just Can't Get Enough
Everything Counts
Never Let Me Down Again
Goodnight Lovers

The Bravery

La band electro-punk-rock dei The Bravery è composta da Sam Endicott (voce e chitarra), John Conway (tastiere), Anthony Burulcich (batteria), Michael Zakarin (chitarra) e Mike "Dirt" Hindert (basso).
Il percorso musicale dei cinque ragazzi di New York è cominciato agli inizi del 2003. Hanno tenuto il primo concerto allo Stinger Club di Brooklyn verso la metà dell'estate di quell’anno, e successivamente sono stati la band di supporto di gruppi come Interpol, Echo and the Bunnymen e The Libertines.
L’attitudine indipendente della band è stata la garanzia del suo successo: infatti sono loro stessi ad occuparsi delle registrazioni, della produzione artistica e dei video.
Michael Zakarin spiega: “Molti ci considerano una band elettronica, ma tutta la nostra musica viene prima composta alla chitarra acustica, dopodiché la canzone viene sviluppata strato su strato al fine di attribuirgli maggior spessore. Per noi è come tornare alle basi dei Beatles e dei Rolling Stones, che prima scrivevano le canzoni, e comunque le sviluppavano o finivano in un secondo tempo. Ci piace pensare di noi stessi come a dei creatori di musica senza tempo, incuranti del risultato”.
Dopo una buona quantità di date dal vivo, i Bravery firmano per la Island Def Jam negli States e la Loog nel Regno Unito. L'EP "Unconditional" è uscito alla fine del 2004 negli UK, e nel febbraio 2005 negli USA. L’album omonimo di debutto della band viene pubblicato nel marzo 2005, e coincide con un tour americano primaverile. Il tastierista John Conway racconta: “Abbiamo composto l’intero album ancor prima di avere un’etichetta discografica o altro, registrandolo su un pc tra il mio appartamento e quello di Sam”.
Recentemente i Bravery sono stati il gruppo di supporto in parte del leg americano (novembre/dicembre ’05) ed europeo (tra gennaio e marzo ’06) del Playing The Angel Tour. Zakarin: “Prima d’essere ingaggiati siamo venuti a sapere che un comune amico stava lavorando insieme ai Depeche sul loro nuovo album. Così lui gli ha portato una copia del nostro CD, e loro sono diventati nostri fans. Poi, alcuni mesi dopo, ci hanno chiesto di partire in tour con loro”.
La band è attualmente impegnata nella realizzazione del secondo album di studio, la cui uscita è prevista per l’inizio del 2007. Endicott: “Ho scritto molto durante il tour con i Depeche Mode. All’inizio è stata dura, ma poi mi ci sono abituato: sei lì stipato in un angolo di bus, con un cappotto addosso stando seduto su di un amplificatore, in mezzo a due persone che cercano di dormire”. E aggiunge che il nuovo album sarà un cambiamento di rotta rispetto al debutto omonimo. “Sarà diverso su tutta la linea, più eclettico. Ci saranno pezzi dance, rock e lenti. Un lavoro più organico, meno sintetico, con più strumenti acustici. Siamo tutti musicisti migliori, ora, e insieme funzioniamo meglio”.
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Tempo fa descrissi Playing The Angel come un significativo ritorno alla forma classica dei DM, cioè a quella cristallina vena elettronica che sembrava essersi un po’ smarrita tra le inflessioni semi-acustiche e le atmosfere intimiste e romantiche di Exciter, disco che aveva notoriamente seminato parecchi malumori tra la base dei fans, nonostante le lusinghiere recensioni ricevute. (continua... )

La differenza tra i due concerti di Milano sta tutta nel minuto finale di Home dello show domenicale, quando Martin Gore si lascia andare completamente, abbandonandosi alla sua gente durante l'esecuzione di una song che probabilmente è tra le sue preferite in assoluto. Prima lungo la passerella, poi all'estremità sinistra del palco nella piccola rotatoria, Gore esterna al mondo il suo stato interiore. Felicità e brividi che arrivano al termine di cinque minuti di rara emozione, in cui i suoni, le immagini e la sua calda voce si fondono in un crescendo che raggiunge l'apice nel finale. Attimi di emozione pura, il punto più alto di un concerto che ha visto la band inglese ripresentarsi in splendida forma - fisica e mentale - al suo pubblico.
Una performance altamente professionale, quella della due giorni milanese (soprattutto la seconda), che ha confermato pregi e difetti di uno spettacolo che i Mode portano in giro per il mondo dal novembre scorso. Un primo concerto, quello di sabato, quasi di rodaggio, in attesa di sprigionare tutta l'energia e la carica vitale nella serata successiva che per tanti aspetti, secondari e non, ha visto salire on stage una band più decisa, compatta, capace di presentare due ore di concerto senza alcuna sbavatura e di creare con i 13 mila del Forum di Assago un feeling ancora più intenso. Non è azzardato dire che il concerto di domenica è stato il migliore finora visto in Italia da quando i Mode si sono ripresentati, dopo l'abbandono di Wilder, nella nuova formazione a 5. Inutile, e a questo punto anche ingeneroso, fare ingombranti paragoni con un passato che tanto non può tornare. Il Touring The Angel è quanto di meglio nelle condizioni attuali si possa chiedere a una band in giro ormai da 25 anni che ha perso per strada il suo uomo più importante in materia di arrangiamenti live. Certo, si potrebbe discutere all'infinito sulla track-list, sul fatto che ormai Gore e soci vanno sul sicuro, proponendo uno show senza mai mettersi in discussione e risultare così innovativi come in passato. Si potrebbe discutere a lungo sull'inutilità (a prescindere dalla resa live) di certi brani, uno a caso Just Can't Get Enough che pure era già stata riproposta nel 1998 nonchè inserita nel video di 101, o sull'imbarazzante resa di Precious, che forse avrebbe meritato di fare la stessa ingloriosa fine di I Feel Loved del precedente tour, se non fosse che il singolo apripista di PTA è stato un must assoluto di vendite avvicinando al gruppo migliaia di nuovi adepti. Si potrebbe discutere di tutto e di più, resta il fatto che, a oltre quattro anni dalla loro ultima esibizione italiana, i Depeche Mode ripagano la lunga attesa con due concerti onesti, "veri" e di buon spessore. La scaletta è stata quella solita, nessuno spazio lasciato all'improvvisazione o a qualche lampo di genio. Poche, quindi, le "novità" in termini di arrangiamento dei brani rispetto ai precedenti tour. Enjoy the silence e Personal Jesus sembrano andare in automatico, così come Never Let Me Down Again. Colpisce invece in positivo l'enorme carica di energia e di pathos scatenate da Walking In My Shoes e soprattutto I Feel You. Dave Gahan le canta da Dio, sembra quasi davvero di essere tornati ai fasti del Devotional. I due show mettono in luce un Dave superlativo: finalmente misurato, look dei bei tempi, lontano dagli eccessi vocali che ne avevano caratterizzato la performance nell'Exciter tour, il frontman appare sereno e in pace con se stesso. Non ha più nulla da dimostrare, e il rendimento sul palco ne risente: incanta la platea con una voce potente e chiara come forse mai in passato, la sua è una presenza on stage da rocker consumato e nonostante questo elegante. Fisicamente al top, è come il vino, col passare degli anni migliora. Uno dei pochi vocalist in circolazione a saper catalizzare completamene su di sé l'attenzione del pubblico. I due concerti ci raccontano poi di un Martin Gore in buona forma, felice e saltellante e protagonista degli episodi più toccanti dello show. Una menzione a parte merita Fletch, da sempre collante del gruppo ma poco presente, musicalmente, soprattutto sul versante live. E invece in questo tour il "Cicognone" ci dà dentro pure con il synth (il suo CS6X della Yamaha è l'unico tradizionale presente on stage, laddove gli altri suonano tutti tastiere mute pilotate dal pc), e davvero sembra più coinvolto in tutti i brani che animano la scaletta. Onesti Peter Gordeno (che peraltro nel weekend milanese è stato esente da evidenti sbavature) e il drummer Christian Eigner, che a parte lo spiacevole inconveniente della bacchetta persa durante il primo show, si fa notare per una elegante, si potrebbe dire quasi wilderiana, interpretazione di A Question Of Lust. Corbjin questa volta indovina la scenografia giusta. Volutamente kitch, l'artwork del celebre fotografo e videomaker olandese rimanda direttamente allo space rock di matrice tedesca dei primi anni '70 e persino a certi spettacoli spaziali e ipertecnologici dei Rockets. Sintetizzatori nascosti in appositi dischi volanti dotati di lucettine colorate, luci laser dai colori abbaglianti, una enorme sfera in lamiera appesa al soffitto che trasmette messaggi subliminali in sintonia con il contenuto delle canzoni. Sullo sfondo, le immancabili proiezioni per le quali Corbjin attinge spesso dal passato, per esempio quando ripropone la celebre donna uccello che attraversa lo stage in Walking In My Shoes, o la mitica rosa che sboccia durante Home. Ma insieme a questo, anche filmati inediti, più sgranati e riprese dirette dal palco. In definitiva un lavoro onesto che, complice anche la mancanza delle coriste e il recupero, grazie ai brani di Playing The Angel, di alcune sonorità eightees, riavvicina sotto certi aspetti l'esibizione dei Mode a quanto la band seppe fare nel periodo più glorioso della carriera. Si parte puntuali nel buio del Forum, attraversato da fasci di luci rosse. Il sibilo straziante di una sirena introduce le prime note di A Pain That I'm Used To. La scaletta è ormai collaudata: buona parte dei brani di Playing The Angel, intervallata da una sequenza impressionante di hit capaci di mettere d'accordo tutti. Già con John The Revelator si intravvede la differenza tra le due serate: sabato Dave appare in difficoltà, la sera seguente invece la song fila via che è una bellezza (anche se con i bpm inferiori rispetto ai solchi del disco). Con A Question Of Time il Forum si trasforma in un immenso dancefloor, peccato che dopo una buona interpretazione di Policy Of Truth arrivino i dolori sotto forma di Precious. Non c'è niente da fare, il brano non è per le corde di Dave, che deve fare appello a tutto il mestiere accumulato in 25 anni per portare a termine i quattro minuti che compongono la canzone. Non aiuta neanche l'arrangiamento troppo dimesso, quasi unplugged, che annulla del tutto l'atmosfera e l'intensità dell'originale. Uno di quei brani la cui resa live fa rimpiangere amaramente la mancanza di Wilder. Si torna in orbita con la drammatica e ricca di pathos Walking In My Shoes e la danzereccia Suffer Well, accolta con grande entusiasmo. Martin si esibisce al microfono regalando ai fans le emozioni più grandi, con Home e poi alternando Damaged People con Macro nelle due serate, con quest'ultima che mostra una resa dal vivo nettamente superiore. I Feel You sembra riportare ai fasti del Devotional tour del 1993, così come Behind The Wheel, mentre in World In My Eyes, buona ma un po' lenta, Dave si esibisce nel finale in un volo mimato (dell'angelo?). Chiude la prima parte l'accoppiata killer Personal Jesus - Enjoy The Silence, per la verità con poche divagazioni dal tema consueto del pump mix e del break strumentale in stile marimba con cui la band propone ormai da qualche tempo l'inno al silenzio. Il bis si apre con una versione piano acoustic di Shake the disease, già proposta da Gore nel 2003 durante il suo tour solista, prima del gran finale che vede i Mode ripercorrere le prime fasi della loro carriera, quella maggiormente technopoppeggiante, con Just Can't Get Enough ed Everything Counts. Quando per la terza volta la band, acclamata a gran voce, torna sul palco, si scatena il campo di grano con 26 mila braccia che si agitano all'unisono sulle note di Never Let Me Down Again. Si chiude con la ninna nanna di Goodnight lovers, con Gore e Gahan che in duetto, in una passerella mobile in mezzo al parterre, sussurrano la buonanotte tra gli applausi scroscianti.

(Mauro Caproni)