Ultimamente le tappe bolognesi dei Mode finiscono,
comprensibilmente o meno, per passare un tantinello
sottotraccia. Vuoi per il peso mediatico o per la, ormai,
gigantesca partecipazione che accompagnano le date romane e
milanesi troppo in fretta ci si dimentica che il sodalizio col
pubblico italiano è nato proprio a Bologna, nel lontano 1984. E
come ogni rapporto che si rispetti, tra altissimi e qualche
basso, dopo cosÏ tanti anni l'affiatamento Ë indiscutibile e
senza fronzoli, specie quandoincorniciato da una location
rinnovata e moderna. Il palazzetto è gremito, il parterre freme,
rumoreggia, si carica di una tensione palpabile che esplode
inevitabilmenteal partire dell'intro sintetico di Welcome To My
World, magnifica apertura sia di album che di concerto. Il
pubblico è eterogeneo, sbarbetelli tipo il sottoscritto,
attempate presenze, darkettoni e padri di famiglia convivono tra
strutture di legno lamellare, celebrando la comune, e
accomunante, passione. In tal senso Black
Celebration, uno degli apici della scaletta, è emblematica
quanto funerea, in una versione che sembra leggermente
rallentata ma proprio per questo pi˘ solenne e liturgica.
La band dal canto suo non sembra avvertire la stanchezza di
fine tour, l'energia ed il coinvolgimento si sprecano, ed è
l'ennesima prova che questo Delta Machine Tour segna in qualche
modo una certa rinascita e capacit‡ di ritrovare mordente in
sede live. Behind The Wheel con la sua struttura ipnotica e
martellante Ë un ritorno
rovente e gradito mentre l'acustico ed intimo momento goreiano,
specie in Blue Dress e Judas, riporta ad una dimensione
primordiale dei brani, che svestono i magnificie stratificati
tessuti sonori per riavvicinarsi allo stato del loro
concepimento. Il phatos della versione goldfrappiana di Halo, e
gli stupendi visuals b/n di Corbijn,valgono da soli il prezzo
del biglietto, che in un momento cosÏ etereo e magico si fa
leggerissimo per non dire insignificante. Never Let Me Down
Again chiude il set col
suo finale maestoso e ci ricorda, come se ce ne fosse bisogno,
che i Depeche Mode, sul finire degli anni '80, riuscivano a
mettere d'accordo Wagner e la musica elettronica.
Per carità, dopo 3 decenni ed oltre di strabiliante e,
finalmente, riconosciuta carriera il mestiere è tanto, ma se
l'esperienza è solo un altro nome per chiamare il classico
piatto d'argento sul quale ci vengono ancora servite le
emozioni, il fulcro di tutta questa storia, allora ogni altro
discorso diventa superfluo. A quel punto
l'importante è allungare la mano e prendersele.
Stefano Lorenzini
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