Intro
WelcomeTo My World
Angel
Walking In My Shoes
Precious
Black Celebration
Policy Of Ttruth
Should Be Higher
Barrel Of A Gun
Higher Love
Shake The Disease
Heaven
Soothe My Soul
A Pain That I'm Used To
A Question Of Time
Secret To The End
Enjoy The Silence
Personal Jesus
Goodbye
Home
Halo
Just Can't Get Enough
I Feel You
Never Let Me Down Again

Chvrches


I Chvrches sono un trio musicale scozzese formato da Lauren Mayberry, Iain Cook e Martin Doherty. La loro produzione pesca a piene mani dalla scena synth pop e dalla indie inglese. La nascita della band risale al 2011 quando Iain Cook produce per il gruppo di cui la mayberry faceva parte, i Blue Sky Archives. Dopo alcuni mesi trascorsi a scrivere a Glasgow, decidono di creare una band. Il loro primo singolo, "Lies", viene pubblicato come download gratuito nel maggio 2012 riscuotendo un successo tale da essere giudicato dal prestigioso NME uno dei migliori singoli dell'anno (#28 nella chart per la precisione). E' la svolta: raggiungono un grado di notorietà tale da essere considerati dalla BBC uno dei gruppi musicali emergenti più promettenti (#5 nella chart per la precisione), firmano il loro primo vero contratto e pubblicano nel marzo del 2013 il loro "Recover EP". Ormai sulla cresta dell'onda, sono invitati al prestigioso "SXSW Festival 2013" dove presenziavano gli stessi DM, alle prese con la promozione del neonato "Delta Machine". La loro performance evidentemente non passa inosservata allla band che li invita come opening act dell'impegnativa ed attesissima data di San Siro.

Motel Connection


Per le due date estive, i Depeche scelgono di affidare ai torinesi Motel Connection l'arduo compito di iniziare a caricare la platea ed alleviare la sofferenza dovuta tanto all'attesa quanto all'afa. Il progetto nasce a inizio millennio dalla collaborazione tra Samuel, leader dei Subsonica, Pierfunk, vecchio bassista degli stessi Subsonica, ed il dj Pisti. Il loro primo lavoro è l'acclamata colonna sonora del film Santa Maradona nel 2001. L'anno successivo vede la pubblicazione del loro primo lavoro “Give me a good reason to wake up”, seguito da “Two”, singolo che li consacra sulla scena nazionale e non solo.
Nel 2004 realizzano la colonna sonora del film “A/R Andata + Ritorno”, mentre bisogna attendere il 2006 per il successivo album “Do I Have a Life?”, la cui pubblicazione è seguita da un live tour nei principali club italiani. Passano altri 4 anni ed ecco “H.E.R.O.I.N.” (Human Environmental Return Output Input Network), album prodotto con la collaborazione di Stefano Fontana (Stylophonic), seguito da altri show live tra cui una performance per gli MTV Days.
Dopo una pausa di riflessione, ritornano in pista con "Vivace" nel 2013, anticipato dal singolo "Midnight Sun", e pubblicato poche settimane prima di fare la loro comparsa sul palco destinato i Depeche Mode.

 


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     Entrano in scena da veri eroi del rock elettronico, di cui ormai sono portavoce assoluti, con un enorme occhio proiettato alle loro spalle, sulle trame algide e le marcette alla Beatles di Welcome to my world, che apre il nuovo disco e questo tour mondiale che si preannuncia, dalle prevendite, come uno dei più remuneratizi dell’anno in corso. San Siro risponde da par suo, atmosfera caricata a pallettoni e quasi esaurito sul prato e sulle gradinate (rimane libero solo qualche posto in terzo anello, ma ci sta). Musicalmente, i Depeche Mode sono ormai un binomio inscindibile di blues ed elettronica, lo sono stati quasi tutti i loro dischi a partire da Songs Of Faith And Devotion del lontano 1993, per arrivare all’ultimo Delta Machine, il cui connubio è presente fin dal titolo. Come logica conseguenza, la setlist presenta i brani più trascinanti di rock-blues del nuovo disco come la potente Angel, il primo singolo Heaven, una travolgente Soothe my Soul da ola sugli spalti, in perfetta alternanza con i capolavori del passato Walking in my shoes, l’ultimo classico Precious, Black celebration e la storica Policy of truth, tratta da Violator, il loro capolavoro che ha un legame indissolubile con l'Italia perché in parte è stato registrato proprio qui a Milano, ai Logic Studios dei mitici Fratelli La Bionda.
    On stage, la scenografia, la grafica e le immagini di Anton Corbijn a questo giro funzionano che è una meraviglia, e finalmente dopo tanto tempo regalano delle idee vincenti. Nessun barocchismo o gigantismi modello U2 ovviamente, perché il regista olandese è un maestro nell'uso di immagini semplici che lascino il segno (su tutte lo sdraio di legno del clip di Enjoy The Silence) come strumento di decoro e di arricchimento visivo. Questa volta, il lampo di genio è stato nell’utilizzo della forma triangolare sia per il design del palco che per i pannelli al led delle immagini e le proiezioni. Una trovata semplice (che poi era già presente nella sleeve di Delta Machine) ma di grande impatto, soprattutto durante l’esecuzione di A Pain That I’m Used To, quando durante l’esecuzione dietro la band si stagliano grandi triangoli neri con bordo bianco, che riportano immediatamente a certe scenografie degli show elettronici di Gary Numan a fine anni ’70. La band senza dubbio appare in ottima forma. Siamo a inizio tour e Dave ha superato alla grande i problemi fisici che avevano costretto a interrompere il tour precedente. Si muove sempre divinamente e appare molto più misurato nell’uso della voce, senza mai andare troppo sopra le righe. E lo show, che dura esattamente due ore piene, beneficia di questa condizione di piena maturità del trio, perfettamente consapevole di essere ormai nella storia della musica. Quando nella seconda parte del concerto arrivano i pezzi da novanta, iniziando dal must Enjoy the silence, San Siro ribolle di passione, liberandosi in un trionfo di danze sfrenate e godimento derivanti da un ritmo irresistibile, con i synth intrecciati alle semplici linee di chitarra di Gore a suggellare un raro momento di piena felicità, estetica ed interiore. Tutto uno stadio in piedi, 60 mila anime a condividere all’unisono ogni singola nota, ogni singola frase di un inno al silenzio, una magia che solo il genio di Martin Gore poteva partorire.
    Ma è solo l’inizio di un’onda travolgente, perchè il martellamento incalzante di Personal Jesus con una intro rallentata e ancora più blues dà il via al pirotecnico finale, interrotto solo per qualche minuto dalla magia acustica di Home, quasi sussurrata da Gore accompagnato dal solo piano di Peter Gordeno, con lo stadio a fare da coro. Ma è solo un attimo, perché in rapida sequenza la danzereccia Just can't get enough, il guitar riff di I feel you, e l’immenso capo di grano di Never let me down again come stratosferico finale, suggellano una festa popolare di rara intensità e brividi emotivi. Music for the Masses, certo. Un titolo che quasi trent’anni fa voleva essere soltanto ironico e pungente nei confronti della critica, e che nel corso dei decenni si è via via trasformato in un karma positivo e nell’emblema concertistico della band di Basildon.


Mauro Caproni



      
 
 
 
  

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