Nella preparazione del disco seguente, il gruppo assume quella che diverrà la sua composizione “classica”, incorporando il percussionista Karl Bartos, mentre l’altro percussionista, Wolfgang Flür, aveva già preso parte alla registrazione di Autobahn. Ad essi bisogna aggiungere il contributo di Emil Schult, una sorta di membro ombra che avrà un ruolo rilevante nella composizione dei testi del gruppo e nella definizione della sua immagine.
Radioactivity, pubblicato nel 1975, esplora i temi della comunicazione radiofonica. Specie ad una prima impressione, l’album si distingue per una struttura frammentaria: le poche canzoni effettive sono infatti intervallate da pause, brevi registrazioni radio, voci deformate tramite vocoder; The Voice Of Energy segna proprio il debutto di quella sinistra voce robotica che tanta parte rivestirà nei lavori successivi. Sempre Hütter: “Usiamo il linguaggio anche come uno strumento musicale. […] Il linguaggio è esattamente un’altra forma di ritmo, è una parte del nostro suono unificato”.
A spiccare è la celebre title track, imperniata su un incisivo riff di sintetizzatore che si dipana attraverso un’impalcatura ritmica lenta ma precisa.
Nonostante il successo di Autobahn, i Kraftwerk rimangono ancora una band poco conosciuta, specie in Europa, salvo che per alcuni “addetti ai lavori” che hanno già compreso appieno le potenzialità innovative insite alla band.
Tra questi, non si può trascurare David Bowie, che già nel 1975 dichiara pubblicamente la propria stima nei confronti del gruppo, che vorrebbe addirittura come supporto nel suo Station To Station Tour del 1976.
Sfortunatamente la band rifiuta, perdendo un’ottima occasione per farsi conoscere da un pubblico più vasto, anche se Bowie, imperterrito, continuerà a promuoverne indirettamente la musica, trasmessa con regolarità prima dei suoi concerti.
Non solo: i Kraftwerk avranno un’influenza diretta sulla stessa evoluzione della musica del Duca Bianco, il quale, costantemente proiettato verso il futuro, nel 1977 abbandona l’Inghilterra, in preda all’invasione punk nella quale egli non ravvisa particolari stimoli, per recarsi a Berlino a registrare Low, opera prima di una trilogia di dischi grondanti di elettronica creati con l’apporto di Brian Eno (Heroes contiene peraltro un palese omaggio a Florian Schneider, V2 Schneider).
Bowie assiste con entusiasmo anche alle registrazioni della loro nuova fatica, Trans Europe Express (1977), che riprende il discorso della locomozione iniziato con Autobahn, ma cambiando il mezzo di trasporto: dall’auto si passa infatti al treno.
Così, i dieci minuti di Europe Endless possono essere interpretati come un poetico, accorato elogio al continente europeo ed alle sue attrattive, Showroom Dummies prefigura una succosa anticipazione di quel rapporto uomo macchina che caratterizzerà il disco successivo, ma ciò che lascia letteralmente stupefatti gli ascoltatori dell’epoca è ancora una volta la title track, il cui ritmo sincopato vuole simulare il procedere del treno ed il fragore del metallo lungo le rotaie.
Franz Schubert, infine, è una sorta di omaggio carico di nostalgia al classicismo musicale da cui provengono Ralf e Florian.
The Man Machine (1978) conferma il carattere estremamente innovativo della band, che si ripresenta con forza quale interprete di un techno-pop aristocratico con più di un anno di anticipo rispetto all’esplosione del fenomeno a livello internazionale. Significativo è il caso di The Model, destinata a diventare uno dei più grandi successi del gruppo, ma solo dopo essere stata opportunamente ripescata nel 1982, appunto in piena fioritura del movimento techno-pop.
Assai influente si rivelerà anche l’immagine del gruppo, così come appare sulla celeberrima foto di copertina che ritrae i diversi membri in una posa robotica e paramilitare, vestiti con camicia rossa e cravatta nera, con un rossetto rosso vivo ed un trucco pronunciato intorno agli occhi.
The Man Machine, come s’è già intuito, segna con coerenza un ulteriore passo in avanti nell’evoluzione stilistica della band: l’identificazione con le macchine è ormai divenuta realtà, ma non per questo la musica appare carente di naturalezza e vitalità, anzi. I Kraftwerk portano a compimento il processo di integrazione di una personalità umana nelle macchine estraendone una sensibilità meccanica di ritorno.
Il ritmo metronomico e cibernetico di The Robots, l’inquietante Metropolis, omaggio al regista del film omonimo Fritz Lang, il fascino pop di The Model sono alcune delle cose memorabili del disco, cui va aggiunta la suadente ballata futurista Neon Lights, che è proprio uno degli episodi più “umani” del disco, e invero di tutta la loro produzione.
Sviluppo per certi aspetti inevitabile di Man Machine è Computer World (1981), pubblicato dopo la prima di una delle pause via via più lunghe che caratterizzeranno la loro successiva carriera.
Computer World è un’opera dedicata al mondo dei computer, il cui utilizzo in quegli anni comincia a farsi strada, sia pure ancora molto timidamente, nella vita lavorativa e sociale in genere.
I Kraftwerk ne esaltano ed anticipano le potenzialità sotto vari punti di vista: come strumento di raccolta di informazioni (Computer World), di elaborazione di complessi algoritmi di calcolo (Pocket Calculator, Numbers), di svago (It’s More Fun To Compute) e persino di mediazione sentimentale (Computer Love).
In ogni caso, la tecnologia è costantemente considerata al servizio dell’uomo, non come una minaccia, o come un elemento di dissociazione e spersonalizzazione: sono insomma sostanzialmente estranee al pianeta dei Kraftwerk quelle asfissianti visioni orwelliane che invece caratterizzeranno alcuni dei loro “successori”, come i primi Human League, John Foxx, Gary Numan.
Al di là delle camaleontiche tastiere, sono i ritmi cadenziati ed ossessivi dei sequencer a plasmare tutto l’album: non è un caso se i Kraftwerk divengono oggetto d’ammirazione dei più avveduti DJ anche d’oltreoceano, e se le loro intuizioni saranno largamente alla base degli sviluppi della house e della techno degli primi anni ’90.
L’album è seguito da un trionfale tour che denota un massiccio impiego della tecnologia: schierati rigorosamente immobili dietro ai loro sintetizzatori, i quattro si avvalgono dell’impiego di basi sistematicamente rielaborate dei brani originali, che si compenetrano specularmente a immagini sofisticate, spartane figure geometriche e parole a caratteri cubitali proiettate sugli schermi posti sul palco.
Lo show non va certo interpretato come un normale concerto di musica rock, ma piuttosto come un vero e proprio spettacolo multimediale, che vede i Kraftwerk nel ruolo di diligenti operatori del suono intenti a curare l’ottimale funzionamento della loro produzione artistica, più che di interpreti in senso stretto.
Dopo una nuova pausa, nel giugno 1983 esce il singolo Tour De France, una sorta di celebrazione della seconda grande passione di Hütter: il ciclismo. La bicicletta in effetti dovrebbe diventare il tema principale del nuovo album, ma il progetto, a causa dei continui tentennamenti della band, verrà progressivamente accantonato.
Bisognerà attendere il 1986 per assistere finalmente all’uscita del nuovo album: Electric Café ripropone la proverbiale cura dei suoni che è il marchio di fabbrica del gruppo, l’effetto dinamico delle voci campionate in funzione ritmica, le intriganti melodie sintetiche, le micidiali percussioni elettroniche.
Tuttavia, manca quella vocazione unitaria che caratterizzava i concept album precedenti e, in genere, si ha l’impressione che venga meno quell’effetto sorpresa, quello slancio di creatività che fin qui aveva caratterizzato il passaggio da un lavoro all’altro, il che è d’altronde comprensibile, dopo dieci anni costantemente passati in prima linea sul piano dell’innovazione, e considerando che nel frattempo le loro invenzioni sono state ampiamente riprese e rielaborate su vastissima scala, mentre l’impiego della tecnologia digitale sta ormai diventando una costante nella produzione della musica pop in genere.
Anche dal punto di vista commerciale, Electric Café ottiene esiti deludenti, piazzandosi al numero 58 della classifica britannica e fornendo un solo singolo dal discreto successo, Musique Non Stop, che comunque è destinata a diventare nel tempo l’ultima canzone “storica” del gruppo.
Trascorrono così altri cinque anni di impasse, che alla lunga finiscono per causare tensioni insostenibili all’interno del gruppo, al punto che Bartos e Flür, frustrati dalla forzata inattività e ansiosi di dedicarsi a progetti solisti, decidono di lasciare all’inizio del 1990.
Ralf e Florian incorporano allora l’ingegnere del suono Fritz Hilpert per portare a termine le registrazioni di quello che si profila come un “greatest hits”, sia pure alla loro maniera: The Mix (1991), infatti, non è una semplice raccolta di successi del gruppo, ma una carrellata di nuove versioni di alcuni dei loro brani più noti, da Computer Love a Trans Europe Express, da una rivitalizzata Radioactivity a una fluida Autobahn.
L’album è seguito da un tour promozionale, ma non sembra rilanciare le quotazioni della band, destinata ad un nuovo, ed apparentemente interminabile ritiro dalle scene.
Solo alla fine del 1999, dopo qualche sporadica apparizione live, assistiamo alla pubblicazione di un nuovo brano, Expo 2000, commissionato al gruppo per celebrare l’esposizione universale tenutasi ad Hannover nell’anno 2000.
Il 2003 vede finalmente l’uscita del tanto atteso nuovo album della band, Tour De France Soundtracks, che riprende il progetto rimasto incompiuto di vent’anni prima.
Pur non aggiungendo granché al repertorio del gruppo, il disco contiene scintillanti episodi di elettronica come la suite Tour De France, la metallica Vitamin, la martellante Aérodynamique e soprattutto l’ipnotica La Forme, che sorprende per armonia sonora ed equilibrio formale, nel solco della migliore tradizione della band teutonica.
L’anno successivo, un tour mondiale in grande stile consacra il ritorno sulle scene dei redivivi Kraftwerk.

(Fabio Milella)