Assecondando la vocazione dichiaratamente
tecnologica del disco, Numan sperimenta con abilità i toni monocordi e
asettici già collaudati da John Foxx per dar forma alle sue visioni
ambigue ed allucinate, come nell’inquietante Films, oppure per
tratteggiare apocalittiche storie di fantascienza, basate su scenari
futuristici in cui agli uomini si affiancano e si sostituiscono macchine
e replicanti alla Blade Runner, come in Metal o M.E.. Fa eccezione l’intensa ballata Complex, che è anche il secondo singolo estratto, in cui Gary allude ad una vicenda affettiva autobiografica. Sull’onda del clamoroso successo riscosso da The Pleasure Principle, Numan si imbarca nel Touring Principle, in cui le sue performances da “uomo venuto dal futuro” vengono esaltate da una scenografia davvero notevole per l’epoca, con piramidi semovibili, imponenti lastre metalliche, effetti vaporosi, avvolgenti luci al neon ed altre trovate sceniche che contribuiscono ad alimentare lo stupore del pubblico e a creare un “mito Numan”, che invero gli causerà più di un problema. Egli infatti si trova a dover sostenere le aspettative e la morbosità crescente dei fans, ad intraprendere giri promozionali e concerti estenuanti, nonché ad affrontare le pressioni della casa discografica, che logicamente vede in lui una grossissima fonte di guadagno, e le critiche della stampa specializzata, quest’ultima tutt’altro che benevola nei suoi confronti. In effetti, essendo di formazione piuttosto tradizionale e non rendendosi conto della genialità delle sue intuizioni, i critici non gli risparmiano attacchi violenti e recensioni denigratorie, talora con quei toni aspri e velenosamente ironici che anche altri artisti e gruppi di matrice elettronica, Depeche Mode in primis, ben conosceranno a loro volta di lì a qualche anno. Ci vorrà più di un decennio, e una nuova generazione di commentatori, prima che a Numan e ai suoi “successori” vengano riconosciuti i giusti meriti e il ruolo di precursori delle più innovative tendenze musicali attuali. Sta di fatto che il successivo lavoro di Gary, Telekon (terzo album consecutivo a piazzarsi al numero 1 della classifica inglese), preceduto dai due singoli I Die: You Die e We Are Glass (peraltro non inclusi nel disco) riflette sia musicalmente sia liricamente tutte le ansie, le incertezze, le inquietudini, ed anche la voglia di “umanità”dell’artista inglese. Indubbiamente il disco è ancora permeato dal suono dei sintetizzatori, ma al tempo stesso la musica appare meno fredda e talora anche più intima grazie all’utilizzo di una strumentazione più varia, alla reintroduzione delle chitarre, all’impiego del piano e degli altri strumenti acustici. Telekon conferma il successo del disco precedente, ed è seguito anch’esso da un nuovo, fantasmagorico tour: il Teletour 80, che tocca Europa, USA, Canada, Giappone, Australia, Nuova Zelanda per un totale di un centinaio di strabilianti concerti. All’inizio del 1981, Gary, ormai alle soglie del collasso fisico e nervoso, decide tuttavia che è arrivato il momento di staccare la spina, ed annuncia il proprio ritiro dalle scene. Prima di dare attuazione ai suoi propositi, che peraltro gli costeranno parecchio da un punto di vista commerciale, vuole però salutare i suoi fans con tre memorabili concerti d’addio, tenutisi tra il 28 e 30 aprile alla Wembley Arena, ed immortalati nel doppio Living Ornaments 81. La fine (momentanea) dell’attività live non segna certo il suo ritiro dalla scena musicale, anzi. Già nel settembre del 1980 Numan ha iniziato a registrare il nuovo album, alla cui lavorazione partecipano musicisti del calibro di Mick Karn, bassista dei Japan, Rob Dean (che era stato chitarrista degli stessi Japan) e Roger Taylor, noto batterista dei Queen. Il risultato finale è ancora una volta spiazzante. A dispetto di quanto il titolo del nuovo album lascerebbe supporre, Dance è un disco raffinatamente minimalista, improntato ad atmosfere vellutate e crepuscolari. Anche nei testi, del resto, Gary ripiega su una dimensione esistenziale e malinconica. L’opera è a tratti complessa e non d’immediata fruizione come potevano esserlo i lavori precedenti, tant’è che, almeno all’inizio, anche i fans sono colti di sorpresa, mentre da essa viene estratto un solo singolo, la funkeggiante She’s Got Claws, che raggiunge il numero 6 della chart inglese. Anche la successiva fatica, I, Assassin (1982), vede Numan distaccarsi sempre di più dalla dimensione iper-tecnologica che aveva contraddistinto la sua ascesa, ma questa volta egli abbandona i toni introspettivi per orientare la propria ricerca verso fluidi ed estrosi ritmi dance, che plasmano brani superbi come Music For Chameleons e We Take A Mystery (To Bed). Nella scia di questo lavoro si collocano anche Warriors (1983), seguito da un tour che marca il suo ritorno sulla scena live, e Berserker (1984), ma a questo punto inizia ormai a profilarsi un preoccupante declino nella carriera di Numan, sia dal punto di vista creativo che da quello commerciale. Per di più, l’idea di dare vita ad una propria label, la Numa, si risolverà in un disastroso tracollo finanziario. Nel 1994, quando ormai la carriera dell’artista inglese sembra giunta ad un punto morto, Gary riesce a sorprendere tutti pubblicando Sacrifice, disco che riprende ed attualizza le sonorità robotiche e meccaniche che lo avevano reso celebre, collocandole in un contesto profondamente dark. Ne derivano brani suggestivi come Deadliner, Magic, You Walk In My Soul (quest’ultima dedicata alla sua nuova compagna Gemma, che poi sposerà, e che in effetti ha avuto un ruolo di rilievo nel contribuire a questa svolta artistica), caratterizzati da moderne percussioni elettroniche che sorreggono magnetiche melodie costruite al suono ammaliante delle tastiere. Rinfrancato da una graduale riscoperta della sua opera e dal pubblico tributo che artisti come Damon Albarn, Billy Corgan, Trent Reznor, Beck, Shirley Manson gli manifestano, nel 1997 Numan pubblica Exile, che prosegue lungo la direzione cupamente tecnologica del disco precedente, anche se in questo caso la presenza delle chitarre viene accentuata in chiave “industriale” (alla Nine Inch Nails, per intenderci), anticipando così una delle caratteristiche essenziali anche di quello che a tutt’oggi resta l’ultimo suo lavoro di inediti, Pure (2000). Questo disco è improntato ad un techno-gothic-rock aggressivo ed oscuro, capace di alternare pezzi “industriali”come Rip e la stessa Pure a momenti di struggente malinconia, come A Prayer For The Unborn, o Little In Vitro, dedicate ad una sfortunata gravidanza della moglie. L’album ripropone finalmente Numan all’attenzione del panorama musicale, tanto da spingerlo ad intraprendere dopo diversi anni un nuovo tour in grande stile che ha toccato Europa e Stati Uniti, e ne conferma la ritrovata vena creativa, degna dei tempi migliori. (Fabio Milella) |