Attorno a questi tre stadi di base si aggiungevano numerosi circuiti che contribuivano all'articolazione del suono, quali generatori di inviluppo, modulatori ad anello, etc., che per semplificare, si evita di descrivere. Tale modo di sintetizzare suoni viene definito Sintesi Sottrattiva, termine desunto proprio dal lavoro di filtraggio sull'oscillatore. 
Per capirci meglio è un pò ciò che avviene in scultura, dove da un originario blocco di marmo (la forma d'onda grezza prodotta dall'oscillatore) lo scultore, mediante martello e scalpello (il filtro), scolpisce "sottraendo" materiale dal blocco fino a dar luce alla forma desiderata. 
Il Mark I e il successivo Mark II erano già macchine di una certa potenza e flessibilità, veri sintetizzatori ma ancora lontani dal definirsi strumenti musicali a tutti gli effetti, in quanto non si suonavano certo in maniera ortodossa. Questi enormi macchinari erano dotati di un lettore di nastri perforati per la programmazione dell'esecuzione. Il musicista doveva sedersi davanti a una tastiera simile a una telescrivente, inserire i dati, avviare il synth e solo dopo, a esecuzione ultimata, ascoltare il risultato registrato direttamente su disco. 
Anche un successivo synth, costruito più tardi da Don Buchla, su commisione del musicista di tape music Morton Subotnick, era un potente syntetizzatore ma ancora difficile da suonare. La sua tastiera era costituita da liste conduttive disegnate in modo tale che, appoggiando i polpastrelli, si potevano connettere le tracce e inviare il segnale al synth.
Si trattava senz'altro di macchine importanti ma più vicini al concetto di dispositivi da laboratorio piuttosto che strumenti musicali diretti, utili per suonare e comporre al volo.
Le cose cambiarono decisamente con l'avvento di Robert Abraham Moog. Questi, già all'età di vent'anni, mentre studiava per conseguire una delle sue tre lauree, fondò la R.A. Moog Company. Dapprima specializzata nella costruzione di theremin, nel 1964 avviò la costruzione di sintetizzatori dotati (finalmente) di una vera e propria tastiera musicale. Si trattava di synth modulari esattamente come i suddetti Buchla e Mark I RCA, ovvero di strumenti composti da diversi "scatolotti" (moduli), colmi di manopole e controlli vari, ognuno rappresentante un elemento della catena di sintesi, capaci di generare solo suoni monofonici (cioè il suono veniva prodotto solo se si suonava sulla tastiera un tasto alla volta, quindi niente accordi tenuti a dieci dita, per intenderci). Si avevano a disposizione moduli oscillatore, moduli filtro, generatori di inviluppo, etc. tante unità che venivano interconnesse tra loro tramite cavi audio. Siamo ben lontani dalle tastiere dal design liscio e pulito che si vedranno più avanti, dal 90 in poi. Qui si parla di cataste di moduli impilati uno sopra l'altro, capaci di tapezzare diversi metri quadri di parete, con la superficie dei pannelli carica di impressionanti grovigli di cavi (qualcosa di somigliante a un centralino telefonico vecchia maniera). Ma le capacità di sintesi del suono erano veramente estreme in quanto, per programmare un suono, si andava ben aldilà della "semplice" regolazione di manopole. Aggiungere nuovi moduli, toglierne altri, ricablarli in vari modi significava ogni volta assemblare un synth diverso e per ogni nuova forma di assemblaggio poter creare centinaia di suoni agendo sui parametri da pannello. I modulari venivano classificati come "sistemi" e i più potenti furono senz'altro il Moog System IIIC, il modello 55 (l'ultimo prodotto da Moog nel 1974) e il successivo concorrente prodotto dalla Roland, il possente System 700, uscito nel 1976.
Il Moog IIIC andò subito in mano a Walter Carlos (diventato poi "Wendy"...) con il quale incise Switched on Bach, un disco di musiche di Bach rieseguite con suoni elettronici, forse il primo vero exploit di massa per tale tipo di sound. Uno scandalo per i puristi della musica classica di allora ma anche un notevole successo di vendite, non fosse altro per la curiosità suscitata dall'ascolto di suoni mai uditi prima. Successivamente (nel 1972), sempre con i modulari, Carlos eseguì le musiche di Beethoven e Rossini nella colonna sonora di Arancia Meccanica di Stanley Kubrick. 
George Harrison dei Beatles acquistò un sistema modulare per registrare il suo album sperimentale dal titolo (originalissimo) Electronic Sounds. Negli studi di Abbey Road gli altri tre suoi compagni di ventura restarono affascinati dallo strumento cosicchè la discreta presenza di un synth si ascolterà poi anche in "Because" e in "Maxwell's silver hammer". Uso e abuso dei synth ne vide protagonista lo scatenato, nonchè tecnicamente dotato, tastierista Keith Emerson (degli Emerson Like & Palmer) spettacolare con i suoi synth tanto quanto fu Jimi Hendrix con la sua chitarra.
Entrando negli anni 70 si passa alla prima piccola rivoluzione nel mondo dei synth, l'avvento dei sintetizzatori compatti. Sicuramente portarsi in giro nei concerti un modulare non era cosa da poco e Bob Moog, sempre vicino alle richieste dei musicisti, cominciò a contemplare l'idea di un synth di piccole dimensioni. Verificando che tra i musicisti veniva in fondo usato sempre lo stesso gruppo di moduli, cablati alla stessa maniera, avviò la progettazione di un synth a schema quasi fisso, con un numero di moduli definito, integrati dentro un unico cabinet a tastiera. Dopo i primi esperimenti di Bill Hemsath, effettuati durante le pause pranzo presso la vecchia fabbrica di Trumansburg e dopo quattro serie di prototipi, venne alla luce il mitico Minimoog. Piccolo ma dal suono micidiale, dopo un inizio incerto, ne furono venduti oltre 12.000 pezzi (dal 1972 al 1981, grazie anche al suo prezzo economico).
Naturalmente si poteva definire economico paragonandolo al prezzo dei modulari. I primi gruppi musicali in Italia, per entrarne in possesso, dovevano firmare suon di cambiali con in più l'aggravio delle tasse d'importazione. Erano comunque soldi ben spesi, come può ben testimoniare Flavio Premoli, tastierista della Premiata Forneria Marconi (PFM), che, solo grazie al magnifico suono del Minimoog e dopo inutili tentativi fatti con chitarra e sax, seppe rendere piena giustizia all'assolo nel brano "Impressioni di Settembre". Si cita il caso della P.F.M. a titolo esemplificativo per fare intendere come il suono sintetico cominciava a inserirsi preziosamente tra le composizioni di allora. Inoltre, ascoltando il suono utilizzato nel suddetto brano (si ricorda inciso nel 1972) ci si può rendere conto di come la sonorità di quel synth resterà poi immortale ed efficace anche nella successiva musica tecnopop, fino ai giorni nostri.
Ma il Minimoog non era l'unico synth portatile. Uno dei suoi concorrenti era il "Putney", alias VCS3 della EMS, azienda sita nel quartiere di Putney (appunto) fondata da Peter Zinovieff (musicista) e David Cockerell (tecnico). Una gran bella macchina, primo synth con joystick e un avveniristico quadro incroci con 256 fori dove, inserendovi degli spinotti in varie configurazioni, si variavano le connessioni dei circuti del canale di sintesi. Nel corso degli anni, i suoni e gli effetti vari che si potevano tirare fuori da questo synth furono impiegati dai Pink Floyd, Who, Brian Eno, Led Zeppelin, Rolling Stone e Tangerine Dream. Ma di sicuro il concorrente più illustre del Minimoog fu il notevole ARP 2600, synth che aveva in più un'architettura semi modulare (quindi con ancora incroci di cavi e spinotti a ridosso del pannello). Elencare qui tutti gli utenti che hanno utilizzato Minimoog e ARP 2600 sarebbe assurdo. Certamente il robot C1P8 (o R2D2), del film Stars Wars, non avrebbe avuto i suoi squittii elettronici se non ci fosse stato un sintetizzatore come l'ARP tra le macchine in dotazione alla produzione.
Fin qui si è parlato di sintetizzatori si facevano strada lentamente nel set strumentale tradizionale dei vari gruppi, a volte ricoprendo ruoli di mero effetto speciale, a volte rappresentando aggiunte fondamentali nell'economia musicale dei pezzi.
Le cose cominciarono a cambiare quando, superando la seconda metà degli anni 70, arrivarono i gruppi teutonici come Tangerine Dream e Kraftwerk nonchè fenomeni di massa come Jean Michel Jarre. I suoni trascendentali che si potevano produrre con i synth cominciarono a scalzare i fondamementali ruoli di basso, di piano, di archi, etc. Si iniziò a parlare piuttosto di parti di synth bass, synth pads, e così via, con suoni che con le loro peculiarità condizionavano inevitabilmente la verve compositiva del musicista, portandolo direttamente nello spazio. E' quello che avvenne per Klaus Schultze e successivamente per i Tangerine Dream che, abbandonando gradualmente la strumentazione tradizionale, misero in musica le meraviglie del cosmo usando Moog IIIC, Minimoog e ARP 2600. Meno strumenti normali, tanti affari elettronici ed ecco il verificarsi di episodi curiosi come i problemi che incontrò Chris Franke quando fu trattenuto alla frontiera di Berlino Est. Fu senz'altro dura spiegare che il suo VCS3 non era un sofisticato apparecchio per la detonazione di una bomba o un dispositivo di spionaggio (come intendevano le guardie) ma il piccolo monofonico da impiegare nel concerto dei Tangerine Dream al Palast Der Republik.
Strumenti identici, con l'aggiunta delle prime rudimentali batterie elettroniche, anche per J.M. Jarre, vero fenomeno capace di vendere, con il suo lp Oxigene, la bellezza di cinquanta milioni di copie in tutto il mondo. 
Diverso fu il messaggio sonoro dei Kraftwerk che restarono sul pianeta terra, concetrati nell'esprimere le percezioni dell'uomo e della società in cui vive attraverso dischi totalmente elettronici quali Radio-Activity, Trans-Europe Express e Computer World. La dedizione all'uso dei synth e di dispositivi elettronici fu totale. Una passione che venne rimarcata anche dalla pittoresca trasfigurazione della loro immagine. Dichiaratisi parte integrante delle loro macchine, rifuggirono il concetto stesso di arte musicale, proponendosi come esecutori robot, piuttosto che musicisti umani.
Con loro cambiarono anche i connotati dello studio di registrazione. Al mitico Kling Klang Studio (dapprima semplice cantina poi riempito all'inverosimile di synth, sequencer, drum machine, oltre a strumenti modificati o costruiti apposta da loro) non ci si limitava a registrare, ma si operava in un ambiente ipertecnologico inteso come vero e proprio laboratorio-fabbrica di sviluppo del suono.
Sul finire degli anni 70 l'industria dei strumenti musicali elettronici fece un balzo in avanti, lanciando sul mercato i sintetizzatori polifonici. Tom Oberheim, buttatosi alle spalle l'attività di commerciante e di rappresentante di zona di synth ARP, costruì il modulo SEM, un completo sintetizzatore integrato in un unico modulo, con un filtro dalla sonorità eccellente. L'unione di diversi moduli SEM in un unica tastiera trasportabile portò alla nascita dei primi synth polifonici a 4, 6 e 8 voci. Nel 1983 l'azienda Oberheim immise sul mercato il potente modello OBX e successivamente gli OBXa, OB8 fino allo spaziale Matrix 12. Ma la produzione non si fermò ai synth ed ecco uscire la Oberheim DMX che, unitamente alla Roland TR 808, la Linn 9000 di Roger Linn e la Drumulator della Emu completò il quadro delle spettacolari drum machine. Nello stesso tempo le aziende giapponesi come Roland, Korg e Yamaha cominciarono a dare del filo da torcere alle aziende americane proponendo delle linee di synth realmente economiche. Oltre ai monofonici come Korg MS10 e MS20 vennero alla luce polifonici a prezzo ridotto come la serie Juno che Roland affiancò alla più potente e costosa serie Jupiter (modelli 4, 6 e 8).
Con l'arrivo degli anni 80 quindi, il mercato dei strumenti musicali elettronici si presentava ben articolato, con tre macchine fondamentali a farle da padrone: il sintetizzatore polifonico, il sequencer e la drum machine.
Il synth polifonico ampliò sensibilmente il ruolo delle parti synth negli arrangiamenti, andando oltre gli impieghi di basso e lead sound dei monofonici. Finalmente la polifonia, anche se a quel periodo limitata a un massimo di otto note, permetteva l'esecuzione di accordi tenuti con tappeti sonori (synth pad) che andavano a sostituire le parti di archi. In più arpeggi complessi potevano essere generati dalla nuova funzione arpeggiatore implementata in questi strumenti.
Il sequencer non era più un modulo di esclusivo appannaggio dei sistemi modulari ma un'unità capace di pilotare qualsiasi strumento dotato di ingressi cv/gate. Su questo si potevano programmare sequenze di note ripetitive anche a velocità non facilmente eseguibili manualmente su tastiera. In più era possibile impostare variazioni dei parametri di sintesi (quali il filtraggio) per ogni singola nota attivata. Al synth collegato potevano così essere inviate veloci linee pulsanti di basso o spettacolari arpeggi composti da una timbrica continuamente cangiante. 
La drum machine proponeva una filosofia di programmazione simile al sequencer, con rigide linee ritmiche scandite da suoni percussivi che, se nelle intenzioni dei costruttori volevano cercare di imitare un set acustico, di fatto davano vita a nuovi beat dal sapore robotico.
Synth polifonici, sequencers, drum machines, più le nuove linee economiche di monosynth ed ecco pronto il set strumentale per un nuovo tipo di musicista. Lavorare con queste macchine, infatti, richiedeva una forma mentis libera dalle ortodossie compositive ed esecutive tipiche dell'uso di strumenti tradizionali. Il pianista, suonando un synth, dividendosi tra tasti, manopole e rotelle di modulazione (per emulare il bending chitarristico) o peggio ancora, programmando un'esecuzione sul sequencer, restava spiazzato. Un batterista, davanti a una drum machine da programmare, aveva la sua buona dose di difficoltà.
Ecco allora prendere definitivamente piede il musicista sintetista, non necessariamente riconducibile all'estrazione ecclettica e colta di pionieri come W.Carlos, Klaus Schultze, Vangelis o J.M. Jarre, ma qualcosa di più vicino allo smanettone squattrinato, con in mente i Kraftwerk, dotato di strumentazione cheap e tantissime idee. Ecco nascere l'era tecnopop.
John Foxx abbandonò gli Ultravox e tra synth ARP, Jupiter 8, Oberheim OBXa e batterie Linn e TR 808, si immerse nei paesaggi sintetici del suo lp Metamatic. Gli stessi Ultravox, nell'album Vienna, non furono da meno usando synth simili, con l'aggiunta di Yamaha CS 80 e della batteria Simmons SDS 3 (chi si ricorda le bacchette tradizionali usate su quei strani pad esagonali?). 
Il suono di basso moog gonfiò le ritmiche di tutte le song di quel periodo, dai Depeche Mode a Gary Numan, mentre i New Order con il brano "Blue Mondey" fecero sentire a tutto il mondo la voce delle percussioni sparate della Oberheim DMX.
Vince Clarke, dopo l'abbandono dei Depeche Mode, iniziò la sua personale (e oggi sterminata) collezione di macchine analogiche, arrivando a includere il Roland System 700 e tutto il meglio della produzione di synth, usata poi nei progetti Yazoo e Erasure. 
Gli Eurythmics fecero sognare con i sequencer dell'album "Sweet Dreams" e centinaia di band nacquero da tutte le parti, snobbando chitarre e sognando potenti synth. Si partiva accontentandosi di suonare su piccole tastiere monofoniche per poi, una volta approdati nel giro grosso della musica, fare conoscenza con i sistemi modulari come il suddetto Roland (Depeche Mode, Human League, Visage, Nitzer Ebb) o i grossi polifonici come gli Oberheim e lo SCI Prophet 5. Non tutti, di certo, utilizzarono da subito il nuovo gioiellino tecnologico in arrivo, ovvero il campionatore.
Nel 1980, dal Quasar M8 di Tony Furse, l'azienda australiana CMI sviluppò il Fairlight. Si trattava di una fantascientifica stazione di lavoro che basava la sua funzionalità su un computer dotato dei primi processori Motorola 6800. A una lussuosa tastiera musicale a 88 tasti affiancava una tastiera dattilo e un monitor dotato di light pen. Con questa si potevano disegnare direttamente su video le curve di ampiezza delle armoniche per comporre suoni in sintesi additiva (non più in sottrattiva). Ma la cosa che fece più scalpore furono i primi convertitori analogico-digitali di cui era dotato, che permettevano di acquisire qualsiasi suono dall'esterno, trasformarlo in bit informatici, memorizzarlo, elaborarlo e riprodurlo poi a comando su tastiera. Sintesi e campionamento, insieme. Per allora era davvero fantascienza pura. Anche il prezzo di $ 25,000 era da altro mondo. Inizialmente acquistato da Peter Gabriel e Steve Wonder, successivamente venne usato da Jean Michel Jarre, Alan Parsons, Trevorn Horn (che lo usò nel suo progetto Art Of Noise), Vince Clarke, Pet Shop Boys, Heaven 17 e David Gilmour. Più tardi sarà presente nei dischi di Michael Jackson, Prince e Madonna.
Ma mentre l'unico concorrente a confrontarsi con tale tecnologia, a tale livello di prezzo, era il Synclavier, altra potente sistema che univa sintesi e campionamento con in più funzioni di sincronismo audio-video (fu utilizzato egregiamente nella colonna sonora di Apocalypse Now), buone novità arrivarono dalla EMU. Operante perlopiù nella fornitura di tastiere alla Sequential Circuit per la costruzione del Prophet 5, a questa azienda andò il merito di aver escogitato il sistema per abbattere i costi e offrire il campionamento su strumenti più "economici". Nasceva così l'Emulator che, con un prezzo di $ 8,000 (1982) e i suoi sample a 8 bit ruvidi ma intriganti, arrichì la musica dei Depeche Mode, degli Orchestral Manouvres in the Dark e dei New Order. Le successive versioni più potenti, dotati anche di sequencer e arpeggiatore incorporati (denominati Emulator II e III) finirono anche nelle produzioni dei Tangerine Dream, Pet Shop Boys e Simple Minds. 
Con il campionamento entrò nel technopop il suono catturato dal mondo reale (dal suono della voce umana ai rumori dei fenomeni della natura fino ad arrivare ai taglienti suoni percussivi, desunti dai rumori industriali) che, elaborato, trasfigurato e mescolato ai suoni di sintesi pura ampliò notevolmente la tavolozza timbrica e le atmosfere dei brani di allora.
La tecnologia digitale cominciava così a farsi strada tra gli strumenti musicali e con il PPG Wave, synth prodotto in Germania da Wofgang Palmer, si produsse il primo sintetizzatore in tecnica di sintesi ibrida, non più interamente analogica. Le duemila forme d'onda campionate, concatenate tra loro in wavetable, fornivano il materiale sonoro di base che veniva elaborato da tradizionali filtri analogici. Il risultato furono dei suoni innovativi e anche qui i Depeche Mode, Gary Numan, Psychadelic Furs, Ultravox e ancora Pet Shop Boys, Talk Talk e Camouflage trovarono valide texture sonore per le loro composizioni. 
Il boom digitale vero e proprio si verificò solo con l'avvento dello Yamaha DX 7. Con la sua tecnica di sintesi in FM (Frequency Modulation) inventata da John Chowning presso l'università di Stanford, ecco apparire sul mercato un synth totalmente digitale, capace di produrre nuovi suoni non più desunti dal lavoro di un filtro analogico su onde elementari. Aldilà dei nuovi timbri, non riproducibili dagli altri synth del periodo, il DX 7 aggiungeva altre qualità come la non instabilità degli oscillatori, tipica degli analogici (capaci di andare fuori intonazione anche al semplice variare della temperatura ambientale o agli urti nei trasporti on the road). Considerato il synth più venduto di tutti i tempi, non è insensato dire che tutte le song prodotte sul finire degli anni 80 avevano almeno un suono prodotto da questa tastiera.
Le peculiarità della sintesi FM aprì le porte a nuovi territori sonori nonchè ai primi tentativi in un synth puro (e quindi senza l'ausilio del campionamento) di imitare suoni acustici, rendendo, anche per questo, obsoleti i vecchi analogici. Fu la fine delle aziende americane strutturate sulla filosofia di costruzione semi artigianale e con componenti ad alto costo, soppiantata dalle grandi multinazionali giapponesi ad ampio budget, improntate sull'elettronica di massa iper integrata. Chiusero o furono venduti gloriosi marchi quali Moog, Oberheim, Sequential Circuit, dopodichè, sul finire degli anni 80, si assistette a una guerra combattuta a suon di chip, campionamenti, funzioni parametriche e sintesi strambe svoltasi tra Roland (con la sua sintesi LA Linear Arithmetic), Yamaha (FM - Frequency Modulation), Korg (AI - Advanced Integrated), Casio (PD - Phase Distorsion) e poche altre aziende.
Con l'ingresso degli anni 90 la tendeza a proprorre sintesi esoteriche cessò e tutte le aziende approdarono a una più funzionale architettura di sintesi basata su oscillatori che eseguivano delle forme d'onda campionate (memorizzate a centinaia su ROM) succesivamente elaborate da filtri che scimmiottavano digitalmente il comportamento degli analogici. Praticamente un ritorno alla cara vecchia sintesi sottrattiva, reinterpretata in chiave moderna. Nelle tastiere si arrivò a integrare di tutto, dai suoni percussivi (rendendo inutili le drum machine) ai sequencer con lettore floppy, generando il mercato delle workstation omnicomprensive, dove, in teoria, qualsiasi musicista poteva trovare suoni utili al genere a cui era orientato. Il capostipite Korg M1 spopolò, ma le grosse aziende seppero comunque tenere in catalogo dei synth puri, destinati ai professionisti, come il Roland JD 800 e il Korg Wavestation. 
Ad un certo punto una nuova generazione di musicisti percepì l'inefficacia delle workstation, piene di poco utili riproduzioni di koto, chitarre, flauti, marimbe, etc., o di suoni esageratamente articolati e immaginifici, buoni forse nelle colonne sonore o nella new age ma poco funzionali in contesti dove si esigeva una certa incisività ritmica. Erano insomma tastiere povere del suono elettronico di quello più grasso, ovvero il diretto trasformarsi della corrente elettrica in forma d'onda (l'esatto processo attuato negli antichi circuiti analogici), un suono riconoscibile solo nei vari Moog e C. usati nella technopop. Il quel di Detroit, nuovi synth heroes cominciarono a snobbare i costosi prodotti dei negozi, andando piuttosto a rovistare nei mercatini dell'usato, dove i synth analogici venivano ceduti a prezzo da rottame. Era l'alba della techno music.
Tornarono prepotentemente le drum machine Roland TR 808 e TR 909 che, con i loro suoni di cassa (dove il bass drum di queste macchine veniva riprodotto da un oscillatore puro e non da un campionamento), resero tellurici tantissimi brani, uniti all'essenziale apporto di synth bass del Minimoog e degli spettacolari arpeggi su polifonici tipo Oberheim. Esplosa la techno, la house e tutti i generi derivati, in poco tempo le quotazioni degli analogici usati raggiunsero le stelle e fu vera speculazione dappertutto. Più tardi la Yamaha con il VL1 inventò un nuovo procedimento di sintesi, detto sintesi a modelli fisici, in pratica una complessa ricostruzione matematica dei processi che si verificano all'interno di strumenti acustici a fiato come oboe, tromba e flauto. Gli ingegnosi svedesi della piccola azienda Clavia ebbero l'idea di sviluppare questo nuovo tipo di sintesi per riprodurre piuttosto i processi funzionali intrinsechi ai circuiti dei synth analogici. Grazie alla potenza dei nuovi microprocessori riuscirono a programmare un modello matematico capace di elaborare abbastanza efficacemente tutto lo spettacolo sonoro della classica catena oscillatori-filtro-amplificatore, incluse le "anomalie tecniche" che nei vecchi synth caratterizzavano il suono finale. E fu l'addio alle statiche forme d'onda campionate. Il nuovo synth si chiamò Nord Lead e di questi se ne innamorarono in tanti, compreso Martin Gore che lo inserì nel suo studio, in compagnia di un JD 800, tre Arp 2600 e due Minimoog, per poi utilizzarlo nel '97 nell'album dei Depeche Mode Ultra. 
Le aziende giapponesi si ridestarono dal torpore e fiutarono il nuovo mercato, allargatosi esponenzialmente con l'avvento della dance commerciale. Arrivarono così Korg Prophecy, Yamaha AN 1 e lo splendido Roland JP 8000 (rievocazione, quest'ultimo, del mitico Jupiter 8) che andò in mano a vecchie conoscenze già citate, come Depeche Mode, Pet Shop Boys, Gary Neuman e a nomi nuovi quali Prodigy, Faithless e William Orbit.
Anche il campionatore ebbe la sua evoluzione e un relativo abbassamento dei costi. Nuovi smanettoni ne fecero addirittura l'unico strumento per le loro composizioni, inaugurando nuove schiere di orgogliosi non-musicisti. Nacquero con loro nuovi generi, risultanti dal campionamento e assemblaggio di frammenti sonori, desunti da vinili di ogni stile musicale. Accanto ai non-musicisti, altri giovani sperimentatori campionarono esecuzioni batteristiche funky per poi riprodurle a velocità improbabili, dando il via a nuovi ritmi e stili quali jungle, drum 'n bass, etc. Insomma, ancora una volta, esattamente come nelle decadi passate, il mezzo tecnologico influenzava prepotentemente il modo di comporre, inaugurando nuovi percorsi musicali.
Varcando le soglie del nuovo secolo fu il computer a rappresentare la vera novità nel panorama tecnologico dei suoni elettronici.
Partendo dall'assunto che un synth digitale basa il suo funzionamento fondamentalmente sul lavoro di un processore per generare il suono e da uno stadio di conversione digitale/analogico per renderlo udibile, si prese atto che tale configurazione poteva essere facilmente replicabile in un computer, dove lo stadio di conversione veniva sostituito dalla scheda audio posta sul bus PCI.
Dopo le prime inevitabili incertezze e complicazioni tecniche, dovute ai lunghi tempi di risposta che venivano a intercorsi tra la pressione dei tasti sulla tastiera e l'emissione del relativo suono, finalmente si elaborarono dei driver e delle schede audio apposite per rendere effettivamente suonabile il software engine in esecuzione sul sistema operativo. I sequencer, prima macchine analogiche negli anni 70-80, poi registratori di esecuzioni MIDI negli anni 90, diventarono nel nuovo millennio complesse piattaforme software capaci di registrare audio, processare in tutte le salse i segnali acquisiti e implementare contemporaneamente numerosi synth virtuali, operanti su sintesi di ogni tipo. Tutto questo fu reso fattibile sia dalla esponenziale e inarrestabile crescita prestazionale delle CPU, sia dalle intraprendenti aziende come la tedesca Steinberg che, con la sua tecnologia VST (Virtual Studio Tecnology) integrò nel sequencer Midi la registrazione audio e poi, con i VST Intruments, diede il la alla produzione di software synth efficacemente integrati nel programma di sequencing.
Il computer è a tutt'oggi il cuore della composizione musicale, con suoi pregi e le sue debolezze (leggi anche virus: Adrian Hates dei Diary Of Dreams ne seppe qualcosa quando vide seriamente compromessa la lavorazione dell'album Freak Parfume da un'infezione a un hard disk). Mentre nuovi musicisti sintetisti si dividono sull'efficacia e la bellezza dei suoni rapportata tra il sound dei vecchi synth analogici, quello dei nuovi digitali e quello dei VST Instruments, altri attingono indifferentemente dal meglio dei tre mondi, dando vita a ottimi produzioni (un esempio tra tanti il caso dei Camouflage dell'album Sensor, anno 2003, dove alle nuove tecnologie VST e ai synth digitali, si affianca efficacemente il modulare Roland System 100).

 

 

 

 

 

 


Robert Moog

 


Il Roland System 700

 

 

 


Il minimoog

 

 

 

 


L'Arp 2600

 

 

 


Il VCS3

 


Jarre nel 1976



I Kraftwerk

 


Clarke nel suo studio

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Alan Parsons
con il Fairlight

 

 

 

 

 


L'Emulator

 

 

 


Brain Eno

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Christopher Sean
(Pet Shop Boys)